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lunedì 27 aprile 2015

Strani giorni, viviamo strani giorni

In questi giorni mi sento un po' stravolta. Sarà la stanchezza, sarà il turbine di cambiamenti che Ricky ha portato, ma in certi momenti mi sento finalmente a casa, e dei momenti mi chiedo che ci sto a fare qui, la casa la sento distante migliaia di km...
A volte capita perché colgo dei dettagli che mi fanno pensare che non potrò mai appartenere a questo strano Paese (anche se, finalmente, tra qualche giorno avrò l'agognato permesso di residenza permanente), che ci sono cose qui comunissime a cui non mi abituerò mai
1) le fissazioni: mercoledì sono stata all'anagrafe. gentilissimamente un'impiegata mi è venuta a prendere appena varcata la porta e mi ha accompagnato nello sportello di cortesia della banca (perché qui si deve pagare per qualsiasi emissione di certificato), e poi quello di cortesia dell'anagrafe in quanto mamma con bimbo (ma tra quanti lustri ci sarà una politica così in Italia?), però nel frattempo mi sentivo migliaia di sguardi addosso probabilmente perché Ricky ed io eravamo gli unici bianchi, o perché portavo Ricky nella fascia sul davanti che qui portano tutti i bimbi con teli ma dietro le spalle, o perché ho avuto il coraggio di portare fuori un neonato senza coprirlo completamente alla vista di tutti per evitare il malocchio, fatto sta che mi osservavano davvero tutti e senza nessuna accortezza di non essere visti da me. Cinque coraggiose hanno avuto anche l'ardore di venirmi a dire che dovevo SUBITO mettere almeno delle calze al mio bambino se non volevo che si ammalasse, perché dai piedi entrano tutte le malattie e non vanno MAI scoperti  ( e quindi i 27-30 gradi di questo mese non sono assolutamente una scusa plausibile!!). Una signora, di fronte alla mia cortese ed educata risposta (anche se cominciavo a scocciar mi in po') che avrei fatto indossare sicuramente i calzini al neonato appena finita l'operazione allo sportello, insisteva perché li tirassi fuori che glieli avrebbe messi lei. Quindi oltre ai colori, sono fissati con i piedi. Bene, me lo segno. Metterò i sandali ai bambini solo dentro casa.
2)il limone, il sale e la pepita: la pepita e' una polvere ricavata dai semi di zucca tritati finissimi. Non c'è cosa che non sarebbe "la morte sua " con la pepita. Per strada, con questo caldo, fanno voglia i chioschetti che vendono frutta fresca tagliata: ananas, mango verde e mango giallo, anguria, papaya, arancia, persino cetrioli. Non fai in tempo a chiederne una bustina che te l'hanno già cosparsa di etti di pepita, sale e un litro di succo di limone. Perché o così, o secondo loro la frutta non sa di niente. I pomodori al ristorante? O con pepita, sale e limone oppure hanno l'alternativa internazionale: le salse a base di mayonese. Se chiedi un po' di olio, pensano tu abbia problemi di stitichezza (l'unico uso concesso dell'olio di oliva e' a cucchiaiate come purgante). A scuola dai miei figli, idem. Li guardano come dei poveracci quando a merenda li vedono addentare una pera, una pesca, una nettarina o del melone senza limone-sale-pepita. Anche perché della pepita tutti decantano proprietà miracolose, altro che le bacche di goji o il ginseng. Poverini questi bimbi italiani, penseranno, la mamma li nutre male.
3)la spesa: a me piace portarmi le buste da casa e dividere maniacalmente le cose per far prima poi a metterle in frigo e in dispensa. Qui delle solerti signorine ti rubano il carrello mentre ti avvicini alla cassa, e ti fanno sparire la spesa dentro i sacchetti di plastica sponsorizzati. Un oggetto per sacchetto, sia mai che la bustina di prosciutto venga a contatto con la scatola del tonno sottolio. Ogni volta colleziono minimo 30 sacchetti quasi inservibili (sono così piccoli che per la pattumiera non servono, al massimo quella del bagno).
4) "ciao come stai?" Qui te lo dicono anche da lontano, appena ti vedono. "Hola que tal?" Io ho la tentazione di avvicinarmi e rispondere, mi fa piacere che qualcuno si interessi di me, e invece dimentico che è un modo di dire. Non gliene può fregar di meno. 
5)i baci. Ti pigliano e ti baciano tutti, anche se è la prima volta che ti vedono. ma solo su una guancia. Si, lo confesso, ho dato parecchie testate e baci sulla bocca nel tentativo di baciare l'altra guancia, come in Italia, il mio ignaro interlocutore. 

Immagino che questo mio umore simpaticamente altalenante e questo sentimento di straniamento contagino anche javier e blanca, che girano al supermercato come dei gourmet e alle promoter  che propongono loro assaggi di vari prodotti dicono  " ah si questo e' buono e possiamo comprarlo, perché sa proprio di Italia". Italia, che ora vediamo come una metà sognata. Eppure, nemmeno qui la vista e' tanto brutta...

giovedì 9 aprile 2015

Espiazione take away

La "Semana Santa" qui e' davvero un hit. Vengono da tutto il centroamerica a vedere come la celebrano qui in Guatemala, e spesso si possono incontrare anche nordamericani in pantaloncini corti e macchina fotografica al collo, all'inseguimento dello scorcio tipico. Noi che fra le tante cose siamo anche affollamento-fobici, non abbiamo mai frequentato molto le celebrazioni, però quest'anno visto che i miei genitori erano in visita da noi e che l'ambiente ideale per un neonato e' sicuramente una strada piena di gente, con la banda che strimpella e centinaia di persone che gli dispensano incenso nelle narici, non potevamo perdercelo per nulla al mondo.
Su tutti i giornali dall'inizio di marzo campeggiavano gli orari delle processioni e le tappe. Sia in capitale che a La Antigua le processioni iniziano due settimane prima e poi durante il giovedì, il venerdì e il sabato santo si scatenano tutte contemporaneamente così che girare in macchina diventa un gioco di strategia per tutte le strade bloccate. Per evitare proprio di trovare il massimo della folla siamo voluti andare a vedere una processione due domeniche prima di pasqua, ma come sempre ci sbagliavamo, perché sembra che la processione "de la Consagrada Imagen de Jesús de la Caída y Santísima Virgen de Dolores, Iglesia de San Bartolomé Becerra " sia una delle più in voga nonostante parta alle sei del mattino e si concluda sedici ore dopo. Solo per veri aficionados, direi io, eppure evidentemente e' apprezzata anche dai devoti dell'ultimo minuto.
Mio suocero, con il suo proverbiale entusiasmo geneticamente non trasmesso a nessuno dei suoi figli, aveva proposto la partenza alle sei per essere a la Antigua almeno quindici minuti prima della partenza e fare una ricca colazione tipica li (salsiccia fritta, uova fritte, platani fritti, fagioli fritti e rifritti, pane tostato e caffè americano). Io non l'ho voluto contrariare, ma siamo partiti da casa attorno alle 9, che è un buon risultato nella mia visione realistica di "famiglia con tre figli e due nonni con cinque bagni ma con uno scaldabagno che permette solo una doccia alla volta". Peccato che Dany si fosse dimenticato di avvisarmi che il piano colazione era saltato, e che quindi bisognava mettersi in viaggio a stomaco pieno, così che ai bimbi avevo portato un frutto per il viaggio ma siamo partiti (solo io e loro eh, Dany ha pensato bene di riempire lo stomaco) affamatissimi.
All'ingresso de La Antigua c'era una coda lunghissima  di auto, bus e pick-up improvvisati taxi con una decina di persone sedute nel rimorchio e perciò alla fine abbiamo fatto il nostro ingresso trionfale in città verso le 11.30. Il tempo poi di cercare parcheggio, fuoriuscire senza dimenticare nulla e nessuno nell'auto, decidere in che direzione procedere ed e' scattato l'allarme rosso "ho fame, muoio!" In contemporanea dei tre pargoli (io un pochino ci speravo perché mi vergognavo a dire di avere una fame da guerra mondiale  e piagnucolare per prima). E quindi, prima sosta!


Il pranzo e' durato forse un pochetto più di quello che si sperava, anche perché il cameriere ci aveva informato che la processione verso le due sarebbe passata vicino al ristorante (embe' dico io, una processione che dura 16 ore prima o poi deve passare dappertutto!)e invece quando ci siamo alzati da tavola erano quasi le quattro, così che abbiamo dovuto rincorrere la processione per mezza città. La processione e' lenta, obietterete voi, ed è vero, il problema e' che inspiegabilmente dappertutto c'erano gruppi di persone che camminavano contromano, oltre ai netturbini che ripulivano subito le strade dalla segatura calpestata, venditori con carrette di dolci, patate e pollo fritto, chincaglieria mista. Aggiungo che sia io che mia madre avevamo scelto delle comodissime zeppe che per camminare sulle pietre tutte sconnesse delle strade antigueñe sono proprio la morte sua, e i bimbi in stato sonnolento postprandiale non sono proprio facili da trascinare. Abbiamo rischiato il linciaggio quando passavamo sulle strade in cui la processione doveva ancora passare, dove le famiglie terminavano di realizzare i famosi tappeti di fiori e segatura su cui deve procedere la processione, e i bambini si avvicinavano cercando di toccare le composizioni. 




Dopo più di mezz'ora siamo riusciti a precedere la processione e vederla finalmente passare. In quella mezz'ora siamo riusciti a:
-perdere mio padre e Blanca: noi ci eravamo fermati, lui proseguiva per oltre un chilometro  con la piccola sulle spalle e un'iguana di gommapiuma in testa, dettaglio che per fortuna ci ha permesso di ritrovarli
-intossicarci di incenso o qualcosa di simile ma molto più penetrante che chiunque bruciava
-non fare foto decenti perché tutti accalcati in pochi metri
- avere di nuovo fame 

Quando la lunghissima processione e' passata, cercavamo disperatamente un locale dove rifocillarci (nuovamente) e invece ci siamo ritrovati ad accontentarsi di una delle tante case che mettevano tavolini in giardino e fingevano di essere un bar, per guadagnare qualcosa da quest'incredibile affluenza di turisti. C'erano persino cartelli di persone che affittavano il bagno di casa, non potendo fare il "bar".
Chiacchierando con il "barista" abbiamo scoperto che anche fra i turisti fanno la fila per riuscire a portare ( a pagamento, sia chiaro!) anche solo per pochi metri uno degli enormi altari della processione, giacché questo assicura l'espiazione dei peccati connessi finora. Più e' pesante l'altare da portare (arrivano a necessitare anche di 150 persone portanti) , più metri lo si porta, più si soffre, e più si è purificati. Ci sono altari da portare persino per i bimbi. Giustamente, perché posso testimoniare che (specie i miei) hanno GRAVISSIMI peccati che non vedono l'ora di espiare!

domenica 5 aprile 2015

Verba non volant

Forse i personaggi al limite dell'assurdo li trovo tutti io, o forse è' meglio dire che riesco a tirar fuori il peggio da chiunque, fatto sta che avevo deciso di far battezzare il piccolo Richie ad appena un mese di vita, approfittando del fatto che i miei, i più ferventi cattolici che conosco, fossero qui in visita. Pensavo fosse una robina facile come in Italia, cioè vai dal prete e chiedi il battesimo, ma non potevo sospettare che qui le chiese pullulassero di burocrati ecclesiastici più che in vaticano!! Avevamo scelto una chiesa nella zona 15, che cioè è equidistante dalla carretera a El Salvador dove viviamo noi, la zona 11 dove vive mia suocera e la zona 2 dove vive una mia cognata che avevamo  designato come madrina. Telefono e la segretaria mi spiega che i battesimi si realizzano il secondo e quarto sabato del mese in una cerimonia apposita alle 15, che è obbligatorio iscriversi (quota di iscrizione 100 quetzales! E se uno non ha i soldi non si battezza? Ma non era che uno poi faceva un'offerta volontaria alla chiesa semmai?), presentare il certificato di iscrizione all'anagrafe che qui si chiama RENAP( si, vi avevo già raccontato dell'insana passione dei guatemaltechi per le sigle futuriste che fanno tanto ventennio fascista tipo "minculpop" o ministero della cultura popolare...Renap vuol dire REgistro NAzionale delle Persone), e una liberatoria della parrocchia di provenienza che autorizza a celebrare il battesimo in quella parrocchia. Premesso che io qui non sono mai andata a messa e ne' mai più, dopo questa esperienza, lo farò, non sapevo quale fosse la nostra parrocchia perché viviamo in un condominio fatto di un centinaio di casette in un terreno a cui si accede direttamente dalla carretera a El Salvador. E'considerato di pertinenza del municipio di fraijanes, ma in realtà il centro abitato di fraijanes dista da casa mia una ventina di km, e' più vicina la zona 10 o la suddetta zona 15. Allora telefono all'arcidiocesi del dipartimento del Guatemala a cui la capitale e fraijanes fanno capo, e la segretaria mi dice "boh!!" Telefoni a un po' di parrocchie a caso nel raggio di venti km e si faccia dire da loro se casa sua appartiene o no alla loro parrocchia. La mia pazienza era ancora lungi dall'essere esaurita e io al telefono ero ancora in grado di parlare con una vocina dolce e delicata. Chiamo tre parrocchie ed effettivamente scopro che apparteniamo proprio alla chiesa "nuestra señora di qualcosa" di fraijanes. Parlo direttamente con il parroco che mi dice che posso andare da lui il giorno dopo perche' lui riceve dal martedì al venerdì dalle 8.30 alle 12. E che se devo fare il certificato  al Renap posso farlo proprio di fronte alla canonica. Perfetto, gli dico, vengo domani!
Il giorno dopo ci presentiamo io e Dany (il nostro matrimonio qui in Guatemala e' stato registrato dal comune ma non appare ancora al Renap quindi per evitare che ricardo venisse registrato con solo il mio cognome dovevamo presentarci entrambi), perdendo entrambi  una giornata di lavoro, i miei e ovviamente il piccolo Richie. 



Fraijanes, dovete sapere, e' una ridente cittadina di 33 mila abitanti fatta di casupole basse, poche sono di due piani (in genere sono di gente che ha familiari che sono riusciti a entrare negli Stati Uniti, trovare un lavoretto in nero, e mandano dei soldi per far vedere al resto della città che ora sono benestanti!), senza nessun piano urbano particolare, ma pulita e ordinata, tanto che il sindaco quest'anno ha vinto il premio come miglior sindaco di tutta la regione iberoamericana. Il suo nome deriva da due frati spagnoli che si chiamavano Giovanni, i due fray juanes, per l'appunto. Dopo questa divagazione torniamo a noi: interno ufficio Renap di fraijanes, dopo una fila di più di quaranta minuti: "salve siamo qui per registrare il bimbo" "fatemi vedere il documento di registro di nascita" "eccolo qui (tronfi d'orgoglio)" "molto bene, e' tutto a posto però dovreste andare prima alla banca a due km da qui con questo bollettino di pagamento, e poi dovreste tornare all'ospedale dove è nato il bimbo a rifare il timbro perché manca il numero di iscrizione all'albo del ginecologo che ha eseguito il cesareo" "coooosa?" "Si mi dispiace ma non posso aiutarvi altrimenti"
Un po' arrabbiati ma rassegnati ci rechiamo alla canonica, in fondo non siamo venuti per nulla, almeno otterremo dal prete la liberatoria. Bussiamo alla porta e si apre uno spioncino, da cui una ragazza ci dice che il prete non c'è. Io a quel punto mi sto già alterando,e chiedo dove sia e quando torna, visto che siamo venuti apposta e lui mi aveva assicurato che in quell'orario ci sarebbe stato. La signorina e' spiacente ma il prete e' via per una riunione e non si sa quando sarà di ritorno. Io insisto, nell'epoca dei cellulari e' mai possibile che non possa chiamarlo e chiedervi quando torna visto che lo aspettiamo?un cenno negativo della testa e lo spioncino si richiude. Io busso di nuovo e con tono sarcastico le dico " mi scusi ma cosa vuole che faccia qui? Aspetto o me ne vado? Siamo venuti apposta! Abbiamo perso una mattinata!" " beh, privi a tornare domani!" "Ma domani sarò sicura di ottenere la liberatoria??" "Non saprei" "scusi ma è' così difficile ottenere una liberatoria? Devo chiederla direttamente all'arcivescovo?" Lo spioncino si richiude nuovamente e questa volta nemmeno se ribusso mi viene riaperto. Comincio ad alzare la voce, parlando con Dany ed i miei, perché la situazione mi sembra assurda, e mi si avvicina una signora con una bimba. Mi racconta che sono settimane che cerca di avere il certificato di battesimo della figlia per poterle far fare la comunione, ma inutilmente. Poi mi svela che le hanno appena detto che il prete entro mezz'ora sarà di ritorno, così ci decidiamo per l'attesa. Nel frattempo vado in macchina ad allattare, e poco dopo arriva mio padre ad avvisarmi che il prete e' tornato. Corro in canonica e il prete sta parlando con Dany , che è in modalità "simpatia ipocrita da dare sui nervi". Il prete non mi guarda nemmeno ne' mi rivolge la parola, mi ignora proprio. Da un biglietto in mano a Dany e ci invita ad uscire. Chiedo spiegazioni e Dany mi dice che la segretaria che ci apriva lo spioncino ha detto al sacerdote che io l'avevo minacciata ed insultata e solo grazie ai modi gentili di Dany e alle sue scuse ci ha concesso un appuntamento nel quale deciderà se farci la liberatoria, che comunque ci costerà 50 quetzales ( no comment). Torno indietro per fargli sentire le mie ragioni, ma non le vuole sentire. Il giorno prestabilito mi presenti all'appuntamento decisa a dirglienebpiu di quattro, ma il prete sembra diverso, tranquillo. Mi fa accomodare, mi prepara la liberatoria e subito la fattura, me le consegna e poi mi liquida con "ho ricontrollato le telecamere della canonica e della strada: effettivamente lei non ha insultato e minacciato la mia segretaria, comunque il suo comportamento non mi piace, non può mica andare in giro a dire ciò che vuole!". 
Mi alzo, lo saluto, e me ne torno a casa. Ho l'impressione di vivere in una commedia di Pirandello. Ed è inutile insistere, dovrò imparare a non dire ciò che penso e incassare i soprusi di chi ha anche il minimo potere. Funziona così. E persino ciò che dico può essere usato contro di me!

giovedì 5 marzo 2015

Una nuova vita in una vita nuova!


Scusate la mia lunga assenza, ma tra le magagne delle ultime settimane di gravidanza non trovavo la tranquillità per scrivere di nulla, angosciata com'ero da ciò che stava accadendo e da ciò che sarebbe potuto accadere. Ora che tutto è' passato però, lo voglio condividere con voi. Nelle ultime settimane di gravidanza la mia pressione arteriale saliva sempre più, nonostante il farmaco che stavo assumendo, e a tratti non sentivo più muovere il piccolino in pancia. Ero combattuta tra il forte desiderio di un parto non medicalizzato (al addirittura in casa, se possibile!) e la consapevolezza di aver bisogno di assistenza medica perché la gravidanza non si stava più rivelando così fisiologica... E così ogni lunedì a controllo, puntuale come un orologio svizzero( anzi austriaco, perché pare che abbia studiato in una scuola austriaca dalla materna al liceo), il medico mi ripeteva che avrebbe atteso il più possibile ma che se la situazione non si sistemava avrebbe programmato un cesareo...
Questa cosa mi pesava sulla capoccia come una spada di Damocle, finché non ho realmente capito che non c'era proprio da scherzare ne' da discuterne, il battito cardiaco del piccolo stava calando sempre più quindi l'unica cosa su cui si poteva avere un margine di decisione era sul momento corretto per intervenire. Dovete sapere infatti che non è mai stata chiara, fin dall'inizio, la datazione della gravidanza, grazie alle mie note capacità organiZative e alla mia memoria da mollusco. Si sono fatte supposizioni, in base alle ecografie, in base ai ricordi, in base alla cabala, in base all'opinione personale di un sacco di persone che mi guardavano la pancia. Quindi siamo arrivati all'ultima settimana di febbraio che più o meno credevo mi mancassero tre settimane. Come vi dicevo, e' stato necessario un ricovero ed un cesareo programmato. L'ospedale (privato) ci è stato raccomandato dal medico, l'abbiamo scelto tra una rosa di quattro ospedali in cui lui ha la possibilità di operare. Qui funziona che esistono due ospedali pubblici (dove forse lavorano i medici migliori visto che hanno una vastissima esperienza), ma che vengono utilizzati solo dalla gente indigena perché in questi ospedali l'igiene e' un optional e i poveri medici devono fare i salti mortali perché mancano materiali, macchinari,e farmaci.
L'ospedale scelto e' un ospedale universitario, quindi non carissimo, e in più abbastanza vicino a casa (giusto quei 18 chilometri). Ci siamo presentati il mercoledì mattina con in mano una lettera del medico, mi hanno trovato una stanza (prima mi volevano mettere in doppia, poi miracolosamente si è liberata una singola quando già stava per scendermi un lacrimone al pensiero di dover sopportare tutti i parenti della compagna di stanza a tutte le ore, perché qui le visite dei familiari sono illimitate!). Subito tre infermiere  si sono prodigate ad aiutarmi a mettermi la camicia da notte, a stendermi, ad accendere la televisione (wow, satellite con più di200 canali!!!). Nessuno però voleva farmi gli esami del sangue, perché riferivano che il medico non li aveva richiesti. Io ho un po' insistito visto che stavo per affrontare un cesareo e quindi mi sembrava il minimo...meno male che l'ho fatto sennò poi l'anestesista (che non opera senza emocromo completo) e il ginecologo (a cui in gliene può importare un fico secco) si sarebbero azzuffati in sa operatoria, offrendomi un simpatico siparietto che però potrebbe aver ritardato l'operazione di qualche ora.
Nemmeno il tempo di leggermi una rivista e mi hanno cominciato a preparare per la sala operatoria. Prima però ho avuto un colloquio di mezz'ora con la simpatica anestesista che ci teneva a presentarsi e spiegarmi cosa avrebbe fatto lei. In sala operatoria ho conosciuto l'assistente chirurgo, ho salutato il ginecologo e il neonatologo. Il clima era talmente sereno e gioviale che mi so chiesta se ci saremmo fatti due birrette piuttosto che sventrarmi. A quel punto però hanno cominciato a collegarmi al saturimetro, a infilarmi aghi a destra e a manca e li mi sono resa conto che lo spettacolo stava per cominciare e devo aver fatto delle espressioni terrorizzate. L'anestesista, prima ha provato a calmarmi accarezzandomi la testa, poi ha pensato bene di collegare il suo iPod con in loop tutto bocelli e ha preso a cantarlo a squarciagola. Il perche' bocelli mi dovrebbe piacere e rilassare solo perché italiano mi sfugge, ma ho apprezzato lo sforzo. Mi è sparita la sensibilità alle gambe, i medici si son messi al lavoro e venti minuti dopo ricardo era vicino a me. Il bello e' venuto dopo. Il cesareo non è una passeggiata, i punti fanno male, l'anestesia prima di sparire e' fastidiosa, per non parlare del catetere...eppure mi è parso di stare al grand hotel. Le infermiere erano sempre in stanza, anche se non le chiamavo si presentavano ogni 10 minuti a chiedermi come stavo, se avevo bisogno di qualcosa, se desideravo riposare e volevo che portassero ricardo al nido. Ho avuto la sensazione che amassero il loro lavoro, non ho sentito nessuna sbuffare, ne visto alzare gli occhi al cielo nemmeno la quarta volta in cui durante la notte mi hanno dovuto cambiare le lenzuola. E per farlo, pur di non svegliarmi, un'infermiera mi prendeva delicatamente in braccio (mioddio quella donna soffrirà di ernie multiple per colpa mia). A me e ricardo ogni volta che si prendevano cura di noi erano rivolti nomignoli come "tesoro, principe/principessa, cara...", Riccardo e' stato accarezzato-coccolato  e ci mancava poco che fosse sbaciucchiato da tutte le infermiere che lo hanno cambiato e lavato. Persino il primario del reparto era di una gentilezza senza pari (era anche molto molto effeminato ai limiti della crisi di risa isterica, il che mi ha reso difficile mantenere la compostezza)anche se pensandoci bene io non ero sua paziente. Quello che ho apprezzato di più e' stato il menù: frullati di frutta fresca ad ogni pasto, sorbetti di frutta esotica a pranzo e a cena come dessert, caffè o te  in ogni momento, altro che pollo lesso, carote lesse e stracchino dell'ospedale in Italia! Ogni cambio turbo il personale del turno precedente veniva a accomiatarsi e mi presentava quello del turno successivo, anche se dopo due secondi mi ero già scordata i nomi di tutti. Quando sono stata dimessa al mattino tutti i medici sono venuti uno ad uno a salutarmi e a vedere come stavo, poi e' stato il turno delle infermiere di turno ed una di loro mi ha persino accompagnata in sedia a rotelle fino alla macchina. Mi ha chiesto se a casa mi aspettava già una sua collega per aiutarmi, io sbalordita ho scosso la testa, e ho scoperto che qui e' la prassi tornare a casa e farsi assistere almeno la prima settimana da un'infermiera che si occupi del bimbo e della mamma, che deve stare a letto una settimana e comunque in casa 40 giorni!
Non è che aspirassi a tanto, ma penso che comunque rientrare a casa e ritrovarsi di colpo tre figli di cui due destabilizzato dalle crisi di gelosia, un collega di lavoro di tuo marito che ha scelto un momento perfetto per fargli visita e soggiornare a casa tua, i tuoi genitori scombussolato da un viaggio intercontinentale, sia stato comunque un impatto appena un po' troppo duro anche per me...

giovedì 12 febbraio 2015

Miss...Mia cara miss!!

Io odio/aborro/evito come la peste/trovo denigranti/schifo di brutto i concorsi di bellezza. Con orgoglio posso dire di non aver mai visto nemmeno miss Italia alla tv. Qualcuno amico di Freud vorrà interpretare che la mia e' tutta gelosia o senso di inadeguatezza. Può pure essere. Fatto sta che due domeniche fa avevamo avuto la bella idea di passare la giornata in piscina al club italiano così i nani si sarebbero sfogati e stancati parecchio e magari ci avrebbero lasciato dormire due ore il pomeriggio. Lo so, sono aspirazioni da pensionati pantofolai, ma io per il momento con la mia stazza non riesco a desiderare di meglio. In soldoni, questi "club" (c'è anche quello spagnolo, quello americano, quello tedesco e quello francese) sono delle associazioni che vorrebbero promuovere la cultura di un certo Paese, in pratica hanno delle bellissime sedi dove se ti associ puoi passare tutto il tempo che vuoi (ci sono  piscina, campo da tennis, ristorante, salterello gonfiabile per esaurire le batterie degli infanti, castello di legno, palestra, sale congressi, palco teatrale e chi più ne ha più ne metta). Io sono iscritta al club italiano da quando sono arrivata e comunque finora di italiani ne ho incontrati solo due (e uno non fa testo perché era l'ambasciatore italiano in Guatemala). 
Io con il mio bel costumino premaman (in realtà un normalissimo costume olimpionico molto grande e cedevole sulla pancia) con un indice di charme attestato sui numeri negativi, a mollo nella piscina nel tentativo di sentirmi leggiadra (perché così dicono, che l'acqua favorisca le gestanti, io mi sentivo comunque leggiadra come un tonno); d'improvviso javier grida " mamma! Una bella ragazza!" E da li' e' finita la calma. Gli ormoni maschili dei presenti (camerieri, avventori del ristorante a bordo piscina, mio marito e mio figlio) hanno cominciato a diffondersi rendendo l'atmosfera parecchio densa.
La mia solita fortuna ha voluto che quel giorno a quell'ora il club italiano fosse stato scelto come location ideale per un lungo servizio fotografico dell'edizione 2015 di miss universo teen. Voi ridete, femmine arpie, ma credo che anche l'autostima di Belen sarebbe stata messa a dura prova.





 Le ragazzone nel fiore degli anni hanno sfilato ininterrottamente per tre ore e posato in ogni possibile angolo tutto intorno a noi, mentre sguazzavano nella piscina, mentre rincorrevo i bambini avvolta nell'accappatoio che non si chiude più cercando di costringerli a fare la doccia, mentre davamo il meglio di noi urlando nei vicini spogliatoi perche' a blanca era finito il sapone negli occhi, javi non riusciva a creare l'acqua tiepida, io non riuscivo ad inserire la spina dell'ascougacapelli senza che blanca, seduta sul lavandino, smettesse di giocare con l'acqua; sono state li' tutto intorno a noi persino mentre pranzavamo; forse questo e' stato positivo, perché dato che loro si accontentavano di bottigliette di acqua minerale io sono stata attanagliata da un senso di colpa proprio allo stomaco e non ho finito il piatto di linguine al pesto...comunque la cosa divertente, a parte vedere fino a che punto gli occhi di un esemplare umano maschio possano fuoriuscire dalle orbite senza ruzzolarvi fuori vedendo una sventola passare, e' stato tirare a indovinare che Paese rappresentassero le ragazze in base al costume di gala che indossavano (e che appunto doveva essere tipico). L'unica che secondo me ha capito la consegna e' stata la concorrente dell'Ecuador, che aveva praticamente tutta la nazione dipinta sulla gonna in varie scene. Le altre  erano molto carucce ma sembrava facessero a gara per chi aveva spennato più volatili e chi potesse sopravvivere al copricapo più strano e pesante. 


La concorrente italiana era molto sobria in un vestito da tipica ballerina di flamenco. 
Siccome ero l'unica italiana presente (che fortuna mamma mia!!) e guarda caso la concorrente italiana e il suo entourage non se la cavavano bene con l'inglese me' era stato previsto un traduttore, hanno pensato bene di presentarmela e farmici scambiare quattro chiacchiere. Per la foto ricordo con lei mi son fatta furba, mi sono patriotticamente nascosta dietro la bandiera e il resto della pancia che sbucava l'ho coperto con mia figlia. Le sue accompagnatrici (sospetto che una fosse sua madre perché "core de mamma" continuava a ripetere che bella come l'italiana non c'era nessuna ma che già si sapeva che non avrebbe vinto in un paese latinoamericano) poi mi hanno caldamente raccomandato di sguinzagliare tutti i miei contatti perché la votassero. Ma dico io, un po' di pubblicità in patria no??



Vabbe' io il mio dovere l'ho fatto, ho pure mantenuto la calma senza aggredire verbalmente e fisicamente Dany quando lo coglievo con la lingua di fuori osservando lati "a" e lati "b", e per fortuna dopo  pranzo il mio calvario e' terminato e ho potuto dormire le mie due ore. Cosa ho imparato da questa storia? Uno, che non serve essere incinta per risultare nettamente più brutta della più scadente delle concorrenti di un concorso di bellezza (ma questo e' anche grazie ad abbondanti dosi di trucco e parrucca, ne sono certa!!) il che porta al punto due, cioè che prima di andare al club italiano devo leggere il bollettino delle attività. Non sia mai che la prossima domenica facciano il set fotografico di mister universo ed io non porti i bambini in piscina!!!

martedì 27 gennaio 2015

Se Maometto non va alla montagna...

Guardate l'annuncio sul giornale di ieri che vi ho incollato sotto.
La gente, qui, e' molto pratica. Perché bisogna aspettarsi che i fedeli vengano a messa alla domenica a versare la propria offerta quando puoi direttamente mandargli un signore minaccioso a casa a sollecitarla??  
Vabbe, si tratta del "diezmo", cioè dell'offerta molto spontanea e libera della decima parte delle proprie entrate da fare mensilmente alla chiesa evangelica, l'undicesimo dei dieci comandamenti, però che te la vengano a far pagare a casa mi sembra un po' troppo materialista. E tra l'altro l'annuncio specifica che l'offerta deve essere in contanti!!E se uno non paga cosa si fa, il pastore gli manda lo scagnozzo a bucargli le ruote della macchina o lo minaccia di finire nei gironi infernali?


sabato 24 gennaio 2015

Yatinto

Ya tin to' significa in lingua maya kaqchikel "io mi prendo cura di te" ed è il nome del poliambulatorio dove ho vissuto nei giorni precedenti un'esperienza indimenticabile. Avevo già partecipato a delle giornate mediche, perché con il Lions club e l'università mariano galvez, quando ho vissuto qui dieci anni fa, ne avevamo organizzate, ma niente a che vedere con quello che ha rappresentato per me questa breve ma intensa esperienza. Il gruppo di volontari con cui ho collaborato, provenienti soprattutto dall'Italia ma anche dal Guatemala stesso e dal Messico, sono diventati una famiglia nel giro di poche ore. E' incredibile come ci si riconosce e ci si conosce velocemente se quello che ti anima e' voglia di aiutare, un sentimento puro e spontaneo. C'erano chirurgo, cardiologo, ginecologa, pediatra, un'altra dentista, internista, infermiere, tante volontarie di supporto che fungevano da cambusiere o farmaciste e un prete "autospretizzato" ( una persona che almeno un po' mi ha fatto fare pace con la religione cattolica, anche se lui si è' allontanato dalla chiesa)...un gruppo assortito eppure pareva di stare assieme da sempre, abbiamo fatto comunità ed è stato meraviglioso. In un posto sperdutissimo a     Circa 50 km dalla capitale sorge questa "missione" che è diventata il centro nevralgico di tutto il villaggio. Li 15 anni fa non c'era nulla, solo qualche capanna sperduta di famiglie che fabbricano i fuochi d'artificio a mano (dentro "casa", senza nessuna formazione, senza nessuna protezione), i volontari dell'associazione "sulla strada" www.sullastradaonlus.comhanno creato una scuola elementare, una scuola media (solo il sabato), un laboratorio di cucito per le donne, un progetto di sviluppo agricolo per dare lavoro, e soprattutto un poliambulatorio, oltre ad aver riabilitato un ospedale non molto lontano. Ogni anno dall'Italia parte un gruppo di volontari per dar vita alle settimane di attenzione medica gratuita presso il poliambulatorio ed addirittura di operazioni chirurgiche (che ognuno paga per  quello che può)presso l'ospedale.


Io ho potuto dare disponibilità solo per tre giornate, a causa dei bimbi che Dany da solo faceva fatica a gestire (soprattutto per via dei compiti di scuola!!) e per via anche della stanchezza legata all'ormai ottavo mese di gravidanza. 
Mi è sembrato di tornare ai tempi dei  tanto amati campi scout, perché proprio come allora si è vissuto in sobrietà, dormendo tutti assieme, condividendo il cibo, i momenti di svago ( a suon di schitarrate di cantautori italiani)e anche le "corvée" quotidiane: lavare i piatti, riordinare...

Mi mancavano i miei bimbi, però vedere egli occhi e nei sorrisi la riconoscenza delle persone semplici al mio lavoro mi ha ripagata di tutto in un secondo. Sicuramente non riesco ad esprimere a parole quello che ho sentito, so solo che mi porterò nel cuore questa sensazione a lungo e farò di tutto per riviverla l'anno prossimo. E se non ci riesco a parole, spero che le foto mi aiutino a trasmettervi  la sensazione di essere li, in quel pezzo di mondo che sembra dimenticato, dove animali e persone si mischiano nella polvere, dove sembra che il domani sia più lontano e più confuso, dove i bambini alla mattina prestissimo, con il sole che ancora non spunta, si incamminano verso la scuola felici, perché significa un giorno di lavoro evitato e un pasto sicuro, ma soprattutto una speranza in poter ambire a qualche cosa di diverso...